Lo stile "Mondrian"
L'architettura è una scultura abitata. Constantin Brancusi
Trovarci insieme è un inizio, restare insieme un progresso, lavorare insieme un successo. Hanry Ford
giovedì 19 maggio 2011
giovedì 3 febbraio 2011
Posate d'Autore
Sono state presentate al Macef 09, si tratta di un set di posate dalle forme sicuramente originali, pensate per aperitivi e per abbellire le presentazioni della tavola.Amuse Bouche, di Pott Podio,non rispettano le comuni regole di ergonomia e non risultano, almeno al primo impatto, di facile utilizzo, ma che siano originali e diverse lo dobbiamo ammettere.
Avete mai visto delle posate esauste per il troppo lavoro? In effetti il concetto è abbastanza inusuale, ma è proprio a partire da questa idea che la designer Kathryn Hinton ha sviluppato la collezione di posate denominate appunto Exhausted Cutlery.
La linea deformata conferisce una certa morbidezza alle posate, solitamente perfettamente tese, e sembra proprio che esse si siano adagiate al piatto vinte da un’icredibile stanchezza…
La linea deformata conferisce una certa morbidezza alle posate, solitamente perfettamente tese, e sembra proprio che esse si siano adagiate al piatto vinte da un’icredibile stanchezza…
Din-Ink è un progetto di food-design ideato da quattro giovani designer italiani (Andrea Cingoli, Cristian Cellini, Emilio Bellisario e Francesca Fontana).
Sono dei veri e propri “ tappini”, trasformabili in simpatiche posate con l’aiuto di una comunissima penna a sfera. Coltello, forchetta e cucchiaio, intercambiabili e funzionali, per i pranzetti più veloci e divertenti. Basta una penna ed il gioco è fatto, semplice proprio come recita lo slogan “ Easy easy, it's easy! “.
Si chiamano Zaha e sono le nuove posate firmate dall’architetto-designer iracheno Zaha Hadid. Lo stile senza dubbio c’è, le forme fluide ed affusolate, tanto care alla designer, non mancano. Una collezione sui generis per gli amanti dei pezzi d’autore.
giovedì 20 gennaio 2011
Rabarama
Rabarama è una pittrice e scultrice italiana (Paola Epifani, Roma 1969). La parola dello pseudonimo deriva dal sanscrito Raba, che significa ‘segno, tatuaggio’, e Rama che vuol dire ‘divinita'’.
Tipiche della sua produzione sono sculture in metallo (bronzo, alluminio...), da dimensioni consuete a gigantesche, ricoperte da una sorta di tessere tatuate sui corpi - definizione alquanto riduttiva.
La particolarità delle sue opere scultoree è molteplice: la forma ancora classica adottata per i corpi, l'enigmatica ieraticità dei volti che sottolinea una forte valenza sacrale, la paziente e preziosa lavorazione della ‘pelle’ delle figure: textures, tessere di puzzle, ideogrammi, microcaratteri, segni ricoprono spesso interamente o quasi le figure, creando una tensione tra la forma dei corpi e la superficie, ora decoro ora rete imprigionante delle forme.
La particolarità delle sue opere scultoree è molteplice: la forma ancora classica adottata per i corpi, l'enigmatica ieraticità dei volti che sottolinea una forte valenza sacrale, la paziente e preziosa lavorazione della ‘pelle’ delle figure: textures, tessere di puzzle, ideogrammi, microcaratteri, segni ricoprono spesso interamente o quasi le figure, creando una tensione tra la forma dei corpi e la superficie, ora decoro ora rete imprigionante delle forme.
La preziosità presiede ad un decorativismo manuale che rivela particolare abilità: a volte si spinge a una ricerca del ‘segno’ contemporaneo, spazia dalle cifre della civiltà attuale e dell’astrazione, fino al richiamo ad ideogrammi e alle culture antiche, simboli ancestrali e primigenii della scrittura, o cita le popolazioni indigene di varie parti del mondo che ancora si dipingono la pelle con valenza rituale e tribale nei culti della terra.
L’effetto finale è sempre una sinergia tra la superficie decorata e tempestata di tessere e rilievi, e la tensione che anima i corpi, come di un’anima che volesse uscire dalla pelle delle opere. L’atmosfera che ne risulta è moderna e insieme antica, posta fuori del tempo, sacra.
I temi scelti sono classici, contemporanei ed eterni eppure attuali, rivisti attraverso le problematiche del presente: la mutazione genetica, l’ambiguità umana, l’identità dell’uomo contemporaneo. Identità sacra che sappiamo però storicamente dalle arti, dalle lettere, dalla filosofia, dalla politica, dai media moderni, dalla sclerotizzazione dei linguaggi ci è stata frammentata, texturizzata, micronizzata, frantumata…
venerdì 14 gennaio 2011
Una Goccia di Design
Andy Warhol Collection
Lexington Avenue
Success is a job in NY
Union Square
Astor Place
Lexington Avenue
Washington Square
Bond No. 9 Signature Perfume
Silver Factory
Nuits da Noho
Scent of Peace
China Town
Montauk
Bleecker Street
Eau de New York
Wall Street
West Side
Brooklyn
High Line
domenica 9 gennaio 2011
L'anima delle cose
Il New York Times ha incoronato, lo scorso 26 dicembre, la mostra ‘Quali cose Siamo’ della Triennale come migliore design exhibition dell'anno. Nella motivazione viene riconosciuto in particolare il valore delle attività del Triennale Design Museum, primo museo del design italiano, e l’attenzione costante che la sua inedita e innovativa formula riesce a raccogliere internazionalmente.
Del giovane artista Andrea Sala l’intervento grafico-pittorico sul Cicognino, tavolino icona disegnato da Franco Albini nel 1954, courtesy Andrea Sala/Federica Schiavo Gallery, Roma
A Milano il Triennale Design Museum celebra l’umanesimo degli oggetti. Al via la terza edizione delle mostre tematiche firmate dal museo milanese: articolate riflessioni su progetto e dintorni che raccontano il design italiano del Novecento per immagini e metafore.
Quest’anno la selezione di pezzi è curata da Alessandro Mendini, l’allestimento museale che li mette in scena è opera di Pierre Charpin. L’eclettico maestro dell’estetica e il sofisticato designer francese danno vita a ‘Quali cose siamo’, visionaria kermesse dal segno forte e dalla grande potenza scenica. Mendini parte dall’uso ‘delle cose’, che esplora da un punto di vista sociologico, antropologico, emozionale: «Guardo gli oggetti che sono davanti a me.
All'interno della mostra Quali cose siamo?, la collettiva 'La Torre di Babele' dove 15 giovani designer - su indicazione di Mendini - ripensano alla utopica torre e la rileggono in chiave contemporanea
Essi sono di tutti i tipi: una lampada, della carta, un violino, un vaso, un calorifero, una statuina, una tazza, una caramella, un cuscino, una scatola, una medicina, un telefonino, alcune automobili fuori dalla finestra, qualche pianta, un segnale stradale, dei fiori….». Da questa osservazione sulla quotidianità arriva a disegnare il design individuale: «Intimamente legato alla vita (reale, normale e affettiva) della gente». Un design che spazia tra il povero e il lussuoso, l’artistico e il funzionale, il banale e lo straordinario. Nella summa raccolta da Mendini c’è spazio per la bottiglia del Campari e il David di Donatello, per le scarpe Sixties di Salvatore Ferragamo e per le macerie del terremoto d’Abruzzo. Ci sono anche i giochi dei bambini, dal dondolo d’antan fino ai mostriciattoli dell’oggi, i Gormiti.
La mitica macchina da scrivere meccanica portatile Lettera22 realizzata dalla Olivetti negli anni Cinquanta vinse il Compasso d'Oro nel 1954. Designer Marcello Nizzoli con Giuseppe Beccio. E’ nella collezione permanente di design del Moma di New York. In mostra c’è l’originale di Indro Montanelli - courtesy Fondazione Montanelli Bassi, Fucecchio (FI)
Ma non solo, c’è posto anche per un quadro di Morandi, un pianoforte, un bicchiere, l’Ape della Fiat, la lettere 22 di Indro Montanelli, le porcellane Lenci e la camicia di Gio Marconi. La selezione degli 820 pezzi «che ci definiscono» è un gioco della memoria dove ciascuno può ritrovare la sua storia. Tra passioni e ossessioni, sulle scabre pedane di legno ideate da Charpin c’è lo spaccato del Paese Italia: «Quando per la prima volta ho visto le opere selezionate per il museo, ho avuto la strana impressione d’intraprendere un viaggio o di ritrovarmi nella posizione di un esploratore, invitato a scrutare il contenuto di una mente (quella di Alessandro? Quella di un Paese?) la cui memoria sfilacciata nel tempo, avesse prodotto una grande quantità, varietà, d’informazioni, immagini, sensazioni» spiega Charpin.
La scultura in legno di Pierluigi Calignano, ‘Come sopra’, 2005, courtesy Galleria Colombo, Milano. Asinistra un ritratto di Ettore Sottsass firmato Riccardo Sambonet
Il francese intimamente legato all’Italia (è stato studente dell’Accademia di Belle Arti di Brera) e il decano del Made in Italy insieme danno vita a uno profilo nostrano inedito e inaspettato. Grandioso e colto. Emozionale ed emozionante. Tutto da vedere. E rivedere. Perché una sola visita non basta a cogliere le sfaccettature di una mostra densa, intensa, estremamente intelligente: «Era quello che volevamo» dice Silvana Annicchiarico.
L’opera Pastor Angelicus, 2008, di Franco Summa e Livia Crispolti, courtesy Franco Summa, Pescara
Il direttore di questo museo dinamico che ogni anno cambia pelle e anima mira proprio a questo, a comporre mostre dove i visitatori perdano il senso del Tempo, mostre con il dichiarato obbiettivo: «Di sorprendere e di rivelare» dove «Ci sono alcune tesi certo, ma non c’è una risposta assoluta. Ognuno può uscire con una sua storia del design. Il discorso rimane aperto».
La lampada Anemone, 1998, prototipo firmato Paolo Ulian e realizzata con 400 penne bic snodabili tra loro
Dino Soft, rivisitazione in chiave design del classico dondolo d’antan di ZPZ Partners per PLAY+
Di Pao, ‘Cocomero’, 2002, decorazione d'artista su un panettone in cemento di Enzo Mari. L’oggetto di industrial design che incontriamo ogni giorno per le strade viene rivisto da un intervento artistico
La poltrona di Alessandro Ciffo, Damien, 2009
Fonte: http://atcasa.corriere.it/Tendenze/Dove-andare/2010/03/29/triennale-oggetti-mendini_3.shtml#articolo
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